Streaming Film Marina E La Sua Bestia 6
- kendhomrolipilto
- Aug 21, 2023
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streaming film marina e la sua bestia 6
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Si è svolta ieri sera la 65ma edizione dei Grammy Award, e tra i premiati spicca il Classico Disney Encanto, ottimo successo al cinema nel 2021 e poi distribuito sulla piattaforma streaming Disney+. Il film di Byron Howard e Jared Bush si è aggiudicato ben tre premi grazie alla canzone Non si nomina Bruno, diventata virale.
Secondo le indiscrezioni pubblicate da Bloomberg, The Walt Disney Company potrebbe iniziare a vendere film e show tv ad altre società per contenere i costi derivanti dallo streaming. Una possibile svolta inedita soprattutto per Disney perché la prassi di vendere ad altre compagnie le proprie produzioni è prassi per diversi studi.
Non a caso si vuole cominciare questo contributo da quella breve sequenza filmica, poiche ci e parsa non solo impulsiva e ingenua, tanto piu poiche venne dalla macchina da presa di un maestro del cinema, ma soprattutto perche ci aiutera a comprendere alcuni aspetti della critica cinematografica su Pirandello e la sua opera. Nel maggio del 1953 Alberto Moravia cosi scrive su L'Europeo in una specie di prologo alla sua pagina su L'uomo, la bestia e la virtU, film di Steno tratto dall'omonima commedia pirandelliana, in sala in quella primavera:
Disney+, la piattaforma streaming della Disney, è arrivata anche in Italia. E non permette l'accesso solo allo sconfinato archivio Disney: ci sono anche la Pixar, i titoli Marvel, quelli Star Wars e i documentari di National Geographic. E non ci sono soltanto film, ma anche serie tv (da quelle targate Disney Channel a "I Simpson").
L'ultimo Capodanno del NovecentoCapossela trascorre i successivi due anni tra vicoli e bar di provincia, tra le storie semplici della vita comune e le grandi avventure musicali, come l'incontro con la musica di Jimmy Scott. Nel frattempo si cimenta anche in un'opera ambiziosa: la sonorizzazione di "Tempi moderni", il capolavoro di Charlie Chaplin.Una maturazione artistica che giunge a compimento nel 2000, con un album monumentale: Canzoni a manovella. "È un disco di canzoni immaginarie - spiega Capossela - di cose che vengono dal profondo, che affiorano in scafandro e cilindro, un lavoro fabbricato con mezzi espressivi come le tecniche aerostatiche di cui vado molto fiero. Abbiamo usato una strumentazione composta di grancasse, orchestra sinfonica, piani chiodati, rullo, trombe, turbanti, sollevatori bulgari".Canzoni a manovella è una di quelle opere che riescono a cogliere l'attimo e a cristallizzarlo per sempre. L'attimo in cui, come un moribondo, il Novecento riavvolge l'intero nastro del suo film prima che il sipario cali, portandosi via il suo campionario di personaggi, epoche, invenzioni, tradizioni e stili culturali. E, dietro le quinte, lui, il palombaro-Capossela, immerso nel suo scafandro a caricare la manovella di questa macchina del tempo che confonde passato e futuro in una epopea da "Ventimila leghe sotto i mari". Paradossale, per uno che voleva diventare solo un "cantante confidenziale".Forse tutto era cominciato con la sbornia del Liveinvolvo, in compagnia dei mariachi gitani della Kočani Orkestar. Certo, c'erano già stati la vampa di Tom Waits a infiammare balli di San Vito e altri deliri, le pantomime paesane, i corvi torvi e le contrade Chiavicone. Ma è da quel live in poi che Capossela sposta definitivamente la barra verso l'etnomusicologia bulimica. Alle Canzoni a manovella giunge dopo un lungo girovagare in un piccolo mondo antico, che spazia dal Sud del Mediterraneo all'Est dell'Europa, dalla Macedonia di Milcho Manchevski (il regista di "Prima della pioggia") alla favolosa Istanbul, dai rebetici di Salonicco alle polke di Varsavia. Ma a far scoccare la scintilla è anche la lettura dei romanzi di Ferdinand Céline che, con il loro spaccato desolante e iperbolico della condizione umana, trascinano Capossela in quello zeitgeist oscuro di un'Europa lacerata dalle guerre, ma pervasa da un febbricitante anelito pionieristico. Proprio come l'ineffabile Courtial des Pereires, che in "Morte a credito" s'inventa un pallone aerostatico di nome Zelante; oppure Bardamù, il medico protagonista di "Viaggio al termine della notte", cui è dedicata l'omonima, splendida ballata con piano a rullo, archi, grancassa e il fatidico coup de canon finale, a evocare l'inizio di una nuova era: "La notte è passata e le nuvole/ gonfiano schiuma di Baltico e cenere". A un altro temerario della letteratura, Alfred Jarry, padre del ciclo di Ubu e della patafisica, è invece dedicata l'inquietante marcia del "Decervellamento", inno alla gogna meccanica del perfido Ubu con un arrangiamento straniante alla Brecht-Weill.Ma il Novecento, si diceva, è anche secolo di guerre e di tragedie, come quella degli ebrei deportati ad Auschwitz, testimoniata da "Se questo è un uomo" di Primo Levi. Uno spettro che squarcia il clima apparentemente festoso di "Suona Rosamunda", in cui il celebre motivetto "Rosamunda" si tramuta nella tortura inflitta alla protagonista, prigioniera degli aguzzini nazisti e costretta a suonare e danzare in quella giostra degli orrori. Un brano che profuma di spezie yiddish, grazie al contributo dell'ebreo newyorkese Marc Ribot alla chitarra e al violino suonato da Edoardo De Angelis.In principio era la Manovella, l'innescamotore, ma anche la necessaria carica di aggeggi ambulanti che bruciano l'aria di melodie familiari. Le canzoni si riempiono così di bottigliofoni, fisarmoniche giocattolo, grancasse sinfoniche, piani chiodati a rullo, trombe a grammofono, onde martenot, violini a tromba, sberleffi timbrici tra il circo e l'osteria. Ed ecco, allora, irrompere il più cialtronesco dei "Marajà", per un pandemonio balcanico in cui le "Mille e una notte" si trasformano in un film rocambolesco di Kusturica ("Si scompiscia si sganascia si oscureggia il Marajà/ raglia tutta la marmaglia quando raglia il Maraja/ sguaian forte i commensali/ versan gli otri ed i boccali"). Il circo è una delle attrazioni fatali di Capossela, affascinato dalla maschera imbrattata di cerone dei "Pagliacci", ritratti in una pantomima in condotta da un piano saltellante e da un harmonium a pompa.Il piglio circense non scompare neanche negli episodi più cupi, riletti sempre attraverso uno humor caustico. Come nella delirante funeral song della "Marcia del camposanto", ode alla superstizione religiosa del Sud, affollata di un'inquietante umanità (i becchini, il sagrestano, la materdomina, la mammanonna, l'arciprete, la marescialla zoppa di guerra) e di una non meno sinistra compagnia di uccelli e animali notturni (in cui compare una delle future bestie selvatiche della Cupa, la malogna, sorta di grosso tasso che popola la valle dell'Ofanto). Un irresistibile antipasto noir per il futuro Paese dei Coppoloni, condito dagli ottoni inconfondibili di Roy Paci.Lo spirito irridente marchia anche la prima infatuazione rebetika del "Contratto per Karelias" che si strugge nei fumi malinconici delle sigarette George Karelias and Sons prodotte a Kalamata, per una storia d'amor perduto adattata da una canzone del re del Pireo Markos Vamvakarias. Ma i Balcani sono anche terra di guerre, come quella che insanguina il Kosovo: Capossela la coglie attraverso un particolare, un treno nero che sfreccia tra le bombe, come quel soldato in fuga verso un'alba impossibile e una sposa dal velo squarciato che non tornerà (l'angosciosa "Corre il soldato", tutta giocata sul dialogo tra i soliti ottoni, l'assolo di Giancarlo Bianchetti alla chitarra e il banjo di Ribot).La filastrocca marinata della title track segna invece il primo tuffo in quell'universo lessicale salmastro che diventerà un leit-motiv del Capossela a venire, con una serie di rime fulminanti: "Il tempo è un alambicco/ che piano piano ci cola a picco", "un lampo brillò a squame/ nell'abisso di verderame", "si butta il palombaro/ con la sua tuta da calamaro". Ma marinati sono anche i suoni, dalla "chitarra sirena" di Ribot, amplificata dall'e-bow, al fragore delle bottiglie usate come percussioni, dagli ottoni fatti ripassare in un tubo per ottenere un effetto subacqueo al sonar e agli altri effetti da sommergibile. E nella ciurma dei cori finali spunta finanche Manuel Agnelli degli Afterhours.Poi, c'è l'immancabile capitolo delle ballate. La malia gitana del tango "Solo mia" nasce da un adattamento della macedone "Bilo cija" della Kočani Orkestar. Il valzer fiabesco dei "Pianoforti di Lubecca", allestito insieme a Pascal Comelade per piano, toy piano e rullo di Edison, si arricchisce del canto della soprano giapponese Mayumi Torikoshi, per raccontare l'incanto dei vecchi pianoforti abbandonati in una fabbrica di polvere da sparo, che una sera iniziano a parlare e a suonare vecchi notturni demodé. La serenata bluesy di "Signora luna" scaraventa le suggestioni leopardiane in un western metafisico alla "Dead Man", grazie alle chitarre spettrali di Ribot e al contrabbasso ossessivo di Ares Tavolazzi. Il valzer zuppo di malinconia e di archi di "Nella pioggia" è un'ode all'amatissima Milano, che "brilla di ferro e binari", con il viavai incessante dei suoi tram e dei suoi treni. La conclusiva "Resto qua" è invece l'istantanea da groppo in gola della fine di uno spettacolo, tra archi filtrati da un vecchio grammofono, suoni di giostra e fuochi d'artificio. Infine, la struggente rumba anni 50 di "Con una rosa" è in realtà un'outtake: non era una canzone a manovella, ma Capossela la aggiunge ugualmente in scaletta, rapito dalla sua grandeur melodica, che scivola maestosa tra congas, archi e chitarre jazzate.Vinicio Capossela guarda il mondo da un oblò (vedasi copertina) e ne restituisce un'immagine di straripante creatività felliniana, assistito da una pattuglia di musicisti di lusso e dalla regia sapiente di Tommaso Vittorini, orchestratore e arrangiatore dell'album. Monumentale e certamente non facile, ma fabbricato con mezzi espressivi più leggeri dell'aria, Canzoni a manovella è il grimaldello con cui Capossela scardina le ultime resistenze di una critica che da qui in poi inizierà a venerarlo quasi incondizionatamente.Nel 2003 esce anche la sua prima raccolta, L'Indispensabile. Un'iniziativa che il cantautore di Hannover mal digerisce: "Motivi oscuri governano le costellazioni discografiche - sottolinea -; io ho detto alla mia che avevo tre cd pronti, ma loro mi hanno risposto che era meglio far prima un riassunto del passato... Quando in seno alla casa discografica è nata l'esigenza di questa pubblicazione non l'ho presa bene, ho iniziato a toccarmi e fare scongiuri, insomma, la sentivo un po' prematura, ma alla fine me ne sono fatto una ragione, e, se proprio un'antologia deve uscire, mi sono detto, meglio che sia da vivi...".Tra le diciotto tracce, classici come "Il ballo di San Vito", "Marajà", "Che cossè l'amor", "...e alllora mambo", "All'una e trentacinque circa", "Con una rosa", "Modì", "Scivola vai via", più un prezioso inedito: una bellissima cover di "Si è spento il sole", pezzo inciso nel 1958 da un giovanissimo Adriano Celentano e trasfigurato da Capossela in chiave quasi tex-mex alla Calexico. 2ff7e9595c
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